Annamaria Tammaro, in suo saggio del 2005 ci aiuta a ripercorrere tappe e significati del termine “digital library”. “La prima definizione di biblioteca digitale è nata nel 1993 e l’autrice è stata Christine Borgman che, in un periodo in cui veniva usato solo il termine biblioteca elettronica per definire il concetto, usa invece biblioteca digitale per definire la combinazione di:

  • un servizio;
  • una architettura di rete;
  • un insieme di risorse informative, incluso banche dati testuali, dati numerici, immagini, documenti sonori e video, eccetera;
  • un insieme di strumenti per localizzare, recuperare e utilizzare l’informazione recuperata

Una seconda definizione è stata successivamente data nel 2000 da Arms che focalizza la necessità della organizzazione e della gestione sia delle collezioni digitali che dei servizi […]. Secondo Arms, la biblioteca digitale è una collezione di informazioni organizzata insieme ai servizi correlati, dove l’informazione considerata è in formato digitale e i servizi sono accessibili attraverso la rete”.

Una terza definizione del 1999 di Marchionini e Fox, si focalizza sul servizio e modella la digital library come un universo in quattro dimensioni:

  1. gli utenti, che rappresentano la dimensione socioculturale
  2. la tecnologia, che è il motore della biblioteca digitale
  3. i servizi che sono essenziali in quanto riguardano la capacità di interagire con la digital library nella sua accezione più ampia (reference digitale, …)
  4. i contenuti che comprendono le diverse tipologie di documento, i formati, …

Alle diverse definizioni si affianca una vera e propria trasformazione che in questi anni ha caratterizzato la digital library. Una trasformazione che ho seguito da vicino come docente e in azienda, vista l’esperienza maturata negli ultimi 20 anni.

La prima trasformazione

Abbiamo vissuto il passaggio da un primo concetto di digital library costituita da file e dati digitali al successivo ingresso della digitalizzazione delle collezioni e, in particolare, di quei materiali speciali o unici, posseduti dalle biblioteche. Fra gli esempi più ricorrenti: Bibbie purpuree, icunabula o prime edizioni della Divina Commedia. In un secondo momento, su impulso di finanziamenti straordinari si sono costruite digital library di (grandi) mappe e catasti (il progetto Imago ne è un esempio), seguite da grandi progetti di emeroteche digitali (spesso realizzate a livello di grigio o bianco e nero).

L’obiettivo di queste digital library era quello di permettere ad un pubblico più vasto la fruizione di materiali fragili (carta cellulosa, carta rivista, ecc) senza rovinare l’originale. Erano le biblioteche digitali delle collezioni “noli me tangere”, per lo più consultabili in locale, la cui introduzione ha di fatto sostituito la fruizione per microfilm.

Gli anni dal 2004

Dal 2004-2005 ai giorni nostri si sono succeduti una serie di progetti, sempre su finanziamenti straordinari (fra cui anche il PNRR), di digitalizzazione e messa on line di manoscritti medievali, pergamene degli archivi ecclesiastici, ancora mappe o manoscritti musicali. Fino al 2007-2008 queste digital library nascevano senza nessuna attenzione nei confronti del pubblico dei fruitori. Infatti, gli unici utenti erano le stesse istituzioni che avevano finanziato e selezionato i materiali.

Il pubblico interessato al materiale era, quindi, costituito essenzialmente da accademici, storici che però, non ancora avvezzi al mondo digitale, alla fine preferivano fruire della copia fisica originale. Infatti, le statistiche di utilizzo e consultazione delle digital library fino al 2012 -2013 mostrano dati sconfortanti e un deciso sottoutilizzo delle piattaforme, di fatto misconosciute. Concordo, quindi, con Alberto Salarelli quando scrive, nel suo contributo in Bibliotecae.it, la storia delle biblioteche digitali è una “storia complessa””.

Digital library, oggi

Oggi la situazione è in divenire (finalmente) e vede da una parte il tema della tecnologia farsi quanto mai urgente e centrale, dall’altra c’è una nuova apertura verso pubblici profondamente diversi.

Questo si traduce, prima di tutto, nella necessità che la propria digital library poggi su solide basi tecnologiche, finanziamenti ordinari e su contenuti studiati e selezionati sulla base anche delle aspettative dei pubblici. Strutturate e gestite in maniera flessibile e dinamica.

Le prime digital library, le vetrine misconosciute dai motori di ricerca che contenevano materiali unici ma di poco interesse frutto di finanziamenti straordinari, non hanno resistito all’obsolescenza tecnologica, alcune sono andate disperse altre si trovano in una sorta di limbo: sono su hard disk o server fuori manutenzione, che da un momento all’altro possono cessare la loro esistenza. Spesso anche per l’uscita dagli organici del personale che le ha gestite fino ad oggi.

Tecnologie in evoluzione

In questi anni di esperienza abbiamo capito quindi che è fondamentale strutturare la biblioteca digitale su tecnologie sempre in evoluzione, legate a community internazionali, attive e vitali, solide ed interconnesse tra loro, supportate dalle grandi istituzioni mondiali e seguite dai principali progetti internazionali.

Da questa consapevolezza deriva la scelta open source e la collaborazione attiva di 4Science con le grandi community internazionali. Una scelta che ha portato a realizzare la nostra digital library DSpace-GLAM con DSpace, una fra le più diffuse piattaforme open al mondo e a impegnarci in prima persona nella definizione degli open standard e nella loro diffusione.

Questo approccio, secondo noi, salvaguarda le istituzioni dall’ obsolescenza tecnologica, le libera dai vincoli degli ambienti proprietari e dalle realizzazioni che vengono definite “locali”. Locali perché risultato dell’impegno di una specifica realtà che non presentano i vantaggi del respiro internazionale delle community anche in termini di sostenibilità.

Nuovi pubblici

A questi aspetti prevalentemente tecnologici, se ne affianca un altro, parimente importante. Riprendendo la citazione di Alberto Salarelli, possiamo infatti confermare che le digital libraries sono

“uno strumento che ha visto mutare il proprio pubblico di riferimento, prima identificabile sostanzialmente con la platea dei professionisti della ricerca per poi aprirsi progressivamente verso le istanze di un’utenza meno specialistica ma, non di rado, particolarmente ansiosa di usufruire degli immensi patrimoni custoditi negli istituti della memoria collettiva, finalmente accessibili dal proprio computer”.

Questo mutamento ci deve far riflettere sulle scelte dei contenuti, sugli obiettivi e su nuove modalità (e approcci) di valorizzazione. Per analizzare lo sviluppo possibile di ciascuno di questi aspetti, occorre, a nostro parere, una riflessione propedeutica.

Sia nel caso di recuperare una digital library obsoleta che nella realizzazione di un nuovo progetto digitale è importante assicurarsi che l’istituzione comprenda che non si tratta di un impegno organizzativo, strutturale ed economico temporaneo e straordinario come è accaduto troppo spesso in passato. Piuttosto, come tutte le altre piattaforme tecnologiche (LMS, discovery tools, abbonamenti alle risorse elettroniche, ecc) anche la digital library deve rientrare nell’ organizzazione ordinaria dell’istituzione.

Garantire un impianto “sicuro”

Alle possibili obiezioni sugli impegni economici, 4Science risponde con la possibilità di attuare un approccio graduale che può partire anche con risorse iniziali (umane ed economiche) circoscritte. L’importante, secondo noi, è strutturare un impianto sicuro e duraturo nel tempo in grado di crescere anche con gradualità.

Dobbiamo infatti essere consapevoli che:

  • è difficile immaginare la digitalizzazione completa del patrimonio culturale da subito
  • è opportuno privilegiare la digitalizzazione del materiale catalogato e per quello non catalogato portare avanti insieme il processo.
  • ed è importante organizzare l’ingresso dei materiali digitali nativi: audio, video, podcast …

A questi assunti, vale la pena aggiungere una ulteriore riflessione che apre anche nuove opportunità sulle quali è utile una riflessione. DSpace nasce come repository istituzionale per rispondere ai bisogni specifici dei sistemi di archiviazione digitale, focalizzati sul deposito a lungo termine, l’accesso e la preservazione dei contenuti digitali. DSpace-GLAM ottimizza in questo modo impegno economico e organizzativo, crea una soluzione sostenibile e duratura nel tempo ponendo le basi di una collaborazione fra diversi ambiti della stessa istituzione.

L’identità della collezione

Costruire l’identità della collezione è quindi un passo certamente fondamentale e per farlo occorre creare le condizioni di incontro fra materiali disponibili e strumenti deputati a favorire la loro fruizione. Dobbiamo rilevare che, purtroppo, in molti casi l’istituzione si trova anche a dover fare i conti con patrimoni digitali frutto di scelte passate, spesso basate sui gusti ed interessi culturali di singoli conservatori o patrimoni digitali risultato di digitalizzazione on demand.

Questo significa che è indispensabile un miglioramento dell’impianto complessivo puntando sulla capacità di far coesistere collezioni diverse e su una migliore presentazione dei contenuti.

Agli strumenti di natura tecnologica occorre affiancare anche adeguate scelte strategiche. I primi sono messi a disposizione da piattaforme come DSpace-GLAM, le scelte strategiche discendono dall’applicazione dei nuovi approcci di marketing culturale che agiscono sul processo di valorizzazione.

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post a cura di Emilia Groppo
Emilia Groppo, è Team Leader del settore Digital Humanities per 4Science. Professoressa a contratto presso il Dipartimento Beni Culturali dell’Università degli Studi di Bologna – Campus di Ravenna e presso il Dipartimento di Scienze dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Milano è specializzata in Archeologia e Storia dell’arte. È stata team leader e project manager nel settore Beni Culturali nei consorzi interuniversitari per l’ICT Cilea e Cineca, dove coordinato numerosi progetti nazionali, fra cui alcune delle più grandi Digital Library in Italia. Nel corso della sua ormai pluridecennale esperienza professionale è stata per molti anni responsabile del polo SBN di tutte le università lombarde e responsabile dell’informatizzazione di molte biblioteche ed archivi storici italiani. Altre informazioni sul profilo Linkedin.

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Bibliografia

Anna Maria Tammaro, Che cos’è una biblioteca digitale? – Digitalia 2005
Christine Borgman. National electronic library report. In: Sourcebook on digital libraries: report for the national science foundation, ed. Edward A. Fox. Blacksburg (VA): Computer Science Department, 1993, p. 126-147 e Christine Borgman. What are digital libraries? Competing visions. «Information processing and management», 35 (1999), n. 3, p. 227-243
William Y. Arms. Digital libraries. Cambridge (Mass.): MIT Press, 2000.
Marchionini G., Fox E.A., 1999. Progress toward digital libraries: augmentation through integration. Journal of Information Processing and Management, Tarrytown (NY): Pergamon Press, 35(3).
Salarelli Alberto, Bibliothecae.it, Vol 8, No 2 (2019)
Jacob Carlo, Dimensionamento e politiche di gestione di una biblioteca digitale, JLis, 2007
Anna Busa, Come comunicare la biblioteca digitale, Editrice Bibliografica, 2023